L’abbraccio di una vita

17 Luglio 2018

Ci sono dannazioni e beatitudini nel tango. Spesso coincidono.
Giglio mi racconta di una donna. Sedeva a bordo pista, aspettava sollevando e riabbassando lo sguardo: le era nato dentro questo desiderio di ballare con un uomo che osservava da qualche ora. Un desiderio tra la gola e la pancia, entrava e usciva con il respiro, rafforzandosi a ogni nuovo ciclo.
Le sembrava di intuire le stesse emozioni anche in lui, sentiva che la stava cercando.
Lui aspetta.
Lei aspetta.
Aspettano.
Si incrociano con gli occhi: è un sì? Un no?
Lui riabbassa lo sguardo.
Allora era un no.
O forse, semplicemente, sono entrambi timidi.
Allora era un sì con la paura del no.
La musica inizia, i due restano seduti al proprio posto. È l’ultima tanda della serata. Se perdono quest’occasione, l’avranno persa per sempre. Non è detto che si rincontreranno. È più probabile il contrario. Dopo due brani, ancora si cercano e si lasciano con gli occhi. Oscillano tra migliaia di sì e migliaia di no.
Prendono coraggio, lei lo guarda ostinatamente, lui la incontra in quello sguardo. Si riconoscono.
Prende forma un sì.
Camminano l’uno verso l’altra e si chiudono nel loro abbraccio. Gli ultimi due brani della tanda, della serata, della vita.

«C’erano già cossì tante cosse prima di quell’abbraccio» mi dice Giglio con il suo accento argentino che moltiplica le “s”, «cossì tanta attesa, cossì tanto cuore, che l’abbraccio li ha folgorati».
La donna sentiva che il corpo le si scioglieva pian piano, si liquefaceva come una candela. E in mezzo c’era tanto pianto silenzioso, perché la bellezza era troppa e la libertà ancora di più. La libertà di essere se stessa.
Il loro abbraccio era l’abbraccio di tutto l’universo con gli altri universi.
In seguito, non si rividero mai più.

Da allora la donna continuò a cercare quell’abbraccio, a immaginarlo durante ogni ballo con un altro uomo. Anche se non era davvero lui e anche se la sensazione di tutto il suo corpo era diversa. La donna imponeva la sensazione del passato su quella che avrebbe dovuto vivere nel presente. Un furto all’immaginazione.
E gli anni trascorsero.
Quell’abbraccio era arrivato come una benedizione, per poi diventare la sua condanna.

«Hai capito cossa voglio dire?» mi chiede Giglio.
Faccio un cenno di assenso, anche se non sono sicura del mio sì. Un po’ come i due della storia.
«Bissogna saper trarre il meglio dalle beatitudini e poi lasciarle andare» dice Giglio, «senza inseguirle. Rallegrarsi che siano accadute nell’istante in cui sono accadute. Fare festa intorno a quel ricordo. Ma senza fiori da cimitero».
Giglio solleva le mani a mezz’aria. «Gli abbracci non sono teschi. Ma fiori che sbocciano».

 

storia prima ⇠ Giglio Pabidoro ⇢ storia dopo

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

Commenti

Commenta la storia

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *