Quelle scale, e poi la vita

27 Luglio 2019

Sono quattro piani di scale. Ogni volta: quattro la mattina e quattro la sera. Non cambiano mai. Non diminuiscono né si moltiplicano. Sono attaccati a se stessi. A rimanere uguali, con tutto il peso delle cose che non mutano. A dire il vero, ci sono anche i mezzi piani. Danno la percezione che il quattro sia in realtà un otto. Otto la mattina e otto la sera.

Pilar Arias Hermida scende quei gradini ogni giorno, non li ha mai contati per non rimanerci troppo male. Sono sicuramente un numero minore dell’infinito, ma a lei sembra di attraversare qualcosa d’interminabile ogni volta che ci passa: i pensieri le si fanno profondi, sente la resistenza delle ginocchia, il modo del corpo di consegnarsi alla discesa o di votarsi alla salita, rassegnato a entrambe, come fosse il prezzo da pagare per restare vivi fino a che non si è deciso come si vuole vivere davvero.

Pilar Arias Hermida non ha ancora deciso. Per quello i gradini le sembrano sempre uguali. Se avesse fatto qualche scelta (di quelle vere, serie, che cambiano la direzione della spina dorsale), è sicura che le scale le apparirebbero ogni giorno diverse, perché sarebbe lei per prima a percorrerle in modo diverso, a sentirsele diverse.

Invece restano quattro piani. La mattina e la sera. Otto, a dire il vero, se il corpo avverte mezzo piano come un intero piano. Come quelle volte in cui si attende una persona per tre ore che sembrano sei, o nel pomeriggio si dorme per venti minuti che sembrano quaranta.

In uno di quei mezzi sogni pomeridiani, con la pelle striata dalle righe di luce delle persiane, Pilar Arias Hermida ha intravisto un uomo e una donna che si abbracciavano. C’era anche una musica, qualcosa di lungo, di straziante ma caldo, qualcosa di interminabile, ma non al modo in cui lo sono le scale. Era un altro tipo di infinito: uno in cui ci si sente a casa sotto un temporale.

Dopo il mezzo sogno, Pilar Arias Hermida si è alzata dal divano a fiori, ha preso la borsa, infilato le scarpe, respirato davanti allo specchio per avere la conferma che quell’aria fosse davvero destinata a lei e i polmoni fossero davvero i suoi, ed è uscita di casa. Ha sceso di gradini, stavolta li ha contati. Ma non vuole dire quanti sono. Se lo tiene per sé, come un segreto che fa sorridere per la sua irrilevanza.

Pilar Arias Hermida ha attraversato a piedi tutta la città, le andava di camminare, di guardare il cielo («dovresti guardare più spesso il cielo» le aveva detto un amico qualche giorno prima, «a volte la felicità è nella nuvola che sfida il sole»).
Quando è arrivata alla scuola di tango, ha sentito che le si modificava la spina dorsale. Un colpo netto, in direzione della vita.

La maestra le ha sorriso: «Quando vuoi cominciare?»
«Ora».

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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