La lotta delle scuole

9 Febbraio 2019

È settembre. Ed è guerra.
La città è grande ma non abbastanza. Le scuole sono molte, troppe, e i potenziali tangueri sono meno della metà della metà degli abitanti divisi a metà.

La scuola Tango y amor stampa 5000 volantini e sguinzaglia allievi, madri e zie degli allievi per coprire il centro e la periferia e il territorio e il mondo.

La scuola Tango y paciencia non ha molti soldi da investire, allora dice ai propri allievi di parlare male della scuola Tango y amor per neutralizzare almeno in parte l’onda dei 5000 volantini.

La scuola Tango y mar (anche se il mare in quella città non c’è – ma piace l’idea, piace il suono e piace il nome, e poi l’immaginazione è la prima arma contro la noia) affitta spazi pubblici nelle vie più frequentate dai giovani, pian piano si allarga alla campagna e alle zone limitrofe, fino alle coste del mare immaginato contro la noia.

La scuola Tango y desesperación ha assoldato un social media manager per “spammare abbomba” su facebook, twitter e instagram.

La scuola Tango y mala suerte si è fatta costruire un sito che è un bijoux con cui spera di attirare nuove leve.

La scuola Tango y te quiero todos lo sábados ha appeso locandine dell’open day ai pali della luce, agli stendini della biancheria, ai rami degli alberi, alle maniglie dei bus per tenersi in piedi durante la corsa (c’è chi è caduto per paura di rovinarli).

La scuola Tango y seguimos luchando ha ingaggiato paracadutisti che si calano sui tetti e infilano coriandoli con il logo della scuola giù per le canne fumarie e le grondaie.

I bar e i negozi e le sedi universitarie e i circoli delle bocce e dello scopone scientifico sono tappezzati di annunci: “Prima prova gratis”. “Dai un’occhiata alla nostra pratica” e un’immagine sotto: gente che sorride, calici che si alzano, bicchieri di plastica. “Porta un amico e primo mese a metà prezzo” (uno chiede alla scuola Tango y amor se pagando il prezzo intero già dal primo mese possono offrirgli un amico – ma di quelli veri, per favore).

Giglio Pabidoro cammina per le vie del centro sotto un panama chiaro chiaro. Ha collezionato sette diversi volantini, li ha raccolti a ventaglio nel palmo della mano e ora si sventola con piacere. «Che poi chi lo sa cosssa pensa la gente» dice all’amico Corrado. «Penserà che il tango sia un gioco in cui ci si spara». Con la mano libera, Giglio si stuzzica un baffo, arrotolandoselo attorno all’indice. «E dire che nel tango ci si dovrebbe abbracciare».
«Ma Giglio» gli risponde Corrado, «è il loro lavoro. Devono pur assicurarsi la pagnotta».

Ora Giglio si mordicchia il dito con cui poco prima aveva fatto un bigodino del suo baffo. Riflette, si prende del tempo. «Sì, ma il tango è una di quelle cose per cui ci si deve sempre chiedere perché si è cominciato. Se è diventato solo il tuo lavoro, allora qualcosa si è interrotto. Come una vena occlusa. Meglio fare altro. E lo dico in generale» Giglio agita l’indice che era stato tra le sue labbra, che era stato un bigodino, che era stato originariamente solo un dito. «Qualsiasi cosa tu voglia insegnare, devi sempre ricordarti del perché vuoi insegnare».

Giglio seleziona un volantino fra gli altri. «Guarda questi: ci manca solo che promettano di trovarti un fidanzato o una fidanzata. Tutto un “tango e sensualità”, tango e cosce e calze a rete e mani dappertutto. Povero tango. E le foto teatrali! Le foto da fermi, senza movimento, con toda una expresión de sufrimiento» Giglio strizza gli occhi verso la luce, cerca una parola precisa nell’aria.
«Sai come lo chiamo io questo?
«Come?» chiede Corrado ormai rassegnato alle opinioni dell’amico.
«Il rossetto sul teschio».

 

storia prima ⇠ Giglio Pabidoro

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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